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Il romanzo erotico degli anni ’60

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di Giorgio Vasta

La letteratura è un corpo fatto di polmoni, un organismo in continua attività respiratoria. Tra questi polmoni, alcuni sono in evidenza, canonizzati talmente da venire percepiti come tradizione; altri sono invece considerati marginali, motori in ombra, eternamente estranei a una percezione condivisa. Eppure questa seconda tipologia polmonare – singoli romanzi, singoli scrittori, interi percorsi letterari – è un vero e proprio giacimento, una zona di ossigenazione nella quale lingua e immaginazione drammaturgica respirano. E ce ne rendiamo conto nel momento in cui imbattendoci in queste scritture le sentiamo subito prossime e pertinenti. Contemporanee.
Perché di questo si tratta. Scrittori come Angelo Fiore, Dolores Prato, Carlo Manzoni, Alba de Céspedes, Augusto Frassineti, Dante Troisi, Luce D’Eramo, Antonio Pizzuto, Salvatore Bruno (per citarne solo alcuni e circoscrivendo la perlustrazione soprattutto agli anni ’50 e ’60), nella maggior parte dei casi poco o per nulla canonizzati, si rivelano alla lettura in dialogo limpido e intenso con il nostro presente.
Una percezione ribadita adesso dalla ripubblicazione da parte di Isbn di Ricordo di Anna Paola Spadoni, nella collana Novecento Italiano diretta da Guido Davico Bonino. L’autore è Giuseppe Mazzaglia, classe 1926, catanese ma residente a Roma, ex giornalista parlamentare. Ricordo di Anna Paola Spadoni – titolo che racchiude il romanzo dentro lo spazio di una memoria all’apparenza morigerata che alla lettura si rivelerà ben poco vereconda – venne pubblicato per la prima volta nel 1969 da Rizzoli e accolto con ammirazione, tra gli altri, da Bassani, Caproni e Flaiano.
Il romanzo narra la tragicomica attrazione di Achille Savasta, giovane professore di francese presso un liceo femminile di una non precisata provincia del sud Italia, nei confronti di una sua studentessa, o meglio nei confronti dell’incontenibile eruzione di carne che è il suo corpo. L’allieva Spadoni è emblema di un femminile magmatico, originario, un paesaggio di forme che genera ossessione e disorientamento; non innamoramento – mai ricorre un accenno al sentimentale e l’ipotesi matrimonio vale per il professore all’inizio come strumento di controllo, poi come incubo – ma nemmeno puro e semplice desiderio sessuale. La percezione traumatica del corpo dell’allieva corrisponde a un bisogno di stupore, di dipendenza e di stordimento. Un bisogno di regressione e di malessere, l’esperienza di una “disgustosa felicità”.
Su una base narrativa analoga si sono fondate le trame degli innumerevoli b-movie italiani del filone scolastico anni ’70 (insegnanti, supplenti, studentesse e ripetenti varie); rispetto a quelle storie – e a ennesima dimostrazione del fatto che non è importante che cosa si racconta ma come, l’abito stilistico individuato da un narratore – lo scarto essenziale sta nel fatto che la trama del Ricordo è immersa in una lingua meravigliosa che trascorre mobile sulla pagina da forme più ampie ad altre contratte e reticenti, sempre modellandosi sull’emotività della voce narrante. Una voce per altro famelica, una muta di cani all’inseguimento di una volpe immateriale; di una preda, cioè, che coincide con il tentativo di dire l’indicibile penetrando nel nucleo di un’attrazione così scardinante da diventare nausea e precipizio nel ridicolo.
Se come scriveva Carlo Dossi (a proposito di scrittori che spariscono dalla percezione) “Amore vuol polpe”, e dunque la pulsionalità erotica è trasfigurazione delle forme, allora il mondo di Savasta è denso e curvilineo, concavo e convesso, un sistema di globi – seni, glutei, gibbosità varie pigre o insolenti, languide esuberanti o attonite – al quale rivolgere una preghiera deforme.
Ricordo di Anna Paola Spadoni – con quella stessa incontenibile vitalità espressiva di libri come Quaderno proibito di de Céspedes, Misteri dei ministeri di Frassineti, Signorina Rosina di Pizzuto e L’allenatore di Bruno, vale a dire con un rispetto della lingua mai ossequioso ma sistematicamente combattivo – è nostro contemporaneo nella misura in cui fa del linguaggio una trappola che intercetta l’umano (e lo svela) nelle sue manifestazioni nucleari. Attraverso quella scultura di parole che è il corpo dell’allieva, Mazzaglia ci ricorda infatti che la nostra biologia è, nella sua atemporalità, più moderna dei diversi contesti storici in cui ci siamo trovati, ci troviamo e ci troveremo a vivere.
Ma non solo. Il Ricordo è soprattutto un’occasione per lo sguardo, un modo per riprendere fiato respirando una scrittura che è una piccola grande fabbrica metabolica in cui lessico e sintassi si fanno antenne in grado di recepire i più impercettibili mutamenti dell’atmosfera. Ed è dunque uno strumento per verificare che oggetto di ogni lingua letteraria – dei suoi polmoni visibili e di quelli invisibili – è essere contemporanea dell’umano.

Questo articolo è uscito su La Repubblica.


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