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Anni zero

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Questo articolo è apparso su Repubblica

di Giorgio Falco

Un tentativo di decifrare quest’epoca sfuggente benché apparentemente notiziabile in ogni sua forma scritta, visiva, sonora. Anni zero 2001 – 2009 Almanacco del decennio condensato è un’antologia di articoli e saggi scritti negli ultimi otto anni. Mi sono chiesto se fosse più adeguata la definizione decennio condensato o piuttosto decennio concentrato, ma concentrato oltre a qualcosa di ristretto e soprattutto assorto, prevede l’eliminazione – come nel caso delle conserve alimentari – dell’acqua. Condensato, benché simile nel processo, pare più morbido e asettico, quasi materno e alieno latte condensato, e questi anni violenti e tragici ci hanno abituato – almeno nella parte di pianeta che consideriamo essere il mondo – all’occultazione, all’evanescenza. Condensato dà l’idea di trasformazione e non di eliminazione, trasformazione continua per una vita allestita sotto una grande cappa, che alterna il vapore alla liquidità, al sole beige accecante. Gli anni zero nell’antologia iniziano con l’assassinio di Carlo Giuliani e – passando attraverso l’11 settembre, guerre, disastri ambientali, crisi economiche ed emergenze sanitarie – terminano con la morte di Michael Jackson.
Pur con alcuni esiti disuguali, il merito del libro – e della sequenza che diviene linguaggio interno all’opera – è quello di far coesistere autori e argomenti molto diversi tra loro senza creare l’effetto per cui tutto è equivalente, in un mondo triste e gioioso, intervallo ininterrotto di segni e messaggi, di verità labili, intercambiabili. Contro l’ingenuità opportunistica e ironica del cinismo, senza cedere a moralismi condivisibili e ricattatori, è bene ricordare che tra la cassa da morto di Michael Jackson e lo spazio concesso a un rifugiato politico o a un apolide, c’è differenza; tra il maiale nell’allevamento intensivo – magari il virus è partito proprio da quell’anonimo maiale (le stelle sono tante/milioni di milioni/ diceva un jingle profetico anni fa) – e un terzino coreano allenato (o allevato?) dall’olandese Gus Hiddink, c’è differenza; tra il sistema di controllo finanziario e la visita di un otorino dopo gli attentati dell’11 settembre, c’è differenza; così come tra un villaggio per pensionati scandinavi in Tailandia e un centro di permanenza temporanea. Il nostro compito è intercettare quei punti di contatto nei quali si cela la struttura dell’intero fluire, l’illimitata circonferenza senza centro, bordo sul quale viviamo. Ogni ferita – per quanto suturata da infiniti eventi – porta la voglia di fare una cernita dei fatti più significativi, la lista da cui partire per un’analisi, evitando il compiacimento e la suggestione del ricordo ninna nanna. L’Italia di questi anni è stato un luogo potente, una nazione faticosa, sfinente e stimolante in cui vivere. Gli anni zero lasciano la vertiginosa oscillazione collettiva tra indifferenza e indignazione, due stati d’animo che a prima vista sembrano opposti, ma in verità quasi coincidono, perché entrambi delegano l’azione a qualcun altro, soprattutto quando l’indignazione si esprime in sterili campagne web, surrogati delle nostre voci, quelle vere. Almeno nella segretezza dei nostri pensieri indifferenti, si combatte, a volte, qualcosa, mentre l’indignazione è oscena, si risolve tutta in se stessa, platealmente, e quasi mai porta ad agire, attende da dio, dal poliziotto, dal giudice, dal caporeparto, dal numero di contatti la risoluzione di quel sentimento. Sono stati gli anni in cui abbiamo accettato una pellicola tra i fatti e la narrazione dei fatti, e quella pellicola è diventata tutto, il camuffamento visibile del reale, grazie al quale abbiamo creduto di raggiungere – con la continua messa in onda di immagini, parole e suoni – una vicinanza maggiore; anni zero in cui l’archivio – visivo, scritto, sonoro – ha cercato di fagocitare ogni cosa, per diventare, pur nella frammentazione, una sola, immensa immagine e parola, sincronizzata e replicabile, un unico infinito suono; e al tempo stesso, ogni singola immagine e parola, ogni piccolo suono, ha cercato di diventare autorevole, per il solo fatto di esistere all’interno dell’archivio: anche questo spiega il successo di YouTube e la diffusione definitiva del web. Sono stati gli anni zero – italiani – in cui si è consolidata l’abitudine di chiamare per nome persone coinvolte in fatti pubblici, cruenti, tragici, futili, docili, forse un prolungamento del reality, delle sue logiche di eliminazione e falsa condivisione confidenziale: Erika, Chiara, Alberto, Belen, Eluana, Meredith, Raffaele, il piccolo Tommy, il piccolo Samuele, Amanda, Olindo, Silvio, Rosa, Mike. Il corpo sociale distrutto è diventato un insieme illimitato di nomi, di pelle valicabile inserita nella sparizione, come se tutti questi nomi fossero l’unico grande corpo rimasto, senza testa, senza organi, come Giorgio, che adesso sta finendo questo pezzo.


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